Marocco

Un viaggio alle radici di un popolo che radici non ha

“È come avere 4 stagioni tutte in una giornata” questo è ciò che ci disse Abduh quando lo incontrammo. Ebbene sì! Il deserto, roccioso o sabbioso che sia, attraversa il grande freddo di notte, il lento riscaldarsi al mattino, il caldo forte dalle 11 alle 19 e poi il lento rinfrescarsi la sera…. Siamo a Sud del Marocco.

Hammada vicino a Merzouga

Questa sembra davvero un’altra terra, un altro pianeta…un altro popolo… più disinteressato a me turista, mentre pieno di voglia di conoscere me persona…
Il Sud del Marocco lo stiamo apprezzando molto di più: è ciò che andavamo cercando, lontano dai grandi centri, dalla caotica vita cittadina dove tutto è uguale ed io non ho identità. Qui io posso parlarti, e c’è tempo…per me e per te… Ringrazio.

Le dune e le nostre ombre microscopiche
Dopo l’alba coi miei piedonzoli nel deserto, Erg Chebbi

Sono stati giorni splendidi quelli che ci hanno trattenuto a Merzouga, sotto quel caldo sole cocente del deserto. Abbiamo potuto assaporare la pace del deserto, una pace che non perdona…sei tu che rendi grazie alle forze del cosmo che si manifestano in ogni istante, anche quando sembra tutto fermo, il vento soffia leggero e smuove la sabbia, cancella le impronte, cancella la storia…. Ma non la tradizione… Come avrebbe potuto vivere un popolo, se non in questo modo, una terra che gli ha insegnato a non guardarsi indietro, ma a guardare sempre avanti ed a non stabilirsi, ma a lasciar andare…

È questo il cammino nomade del popolo Amazigh (coloro che vennero soprannominati “berberi” dai francesi, come se conoscessero poco, pur non essendo così). “Amazigh” è l'”uomo libero” che abitò questa regione originariamnete e che si scontrò con molti invasori.

Bandiera Berbera, con al centro l’uomo Amazigh, che riunisce i popoli del Nord Africa

Qui abbiamo potuto conoscere davvero persone sincere, che ci hanno raccontano di come, a modo loro, vivono ancora un certo disagio berbero di popolo a cui è stata sottratta un poco di tradizione.

Il linguaggio che ci permetteva di comunicare è stato un misto tra italiano, francese, inglese, spagnolo ed arabo…e poi sguardo, sensazioni, sorrisi, musica e danze.

A spasso con O’n Ýel e Aūra

È stato qui che, a spasso in compagnia di Omar di Auberge le Caravane e di due simpatici dromedari dotati di una spiccata personalità, O’n Ýel e Aūra, abbiamo raggiunto una duna, molto alta ed abbiamo assistito ad un tramonto unico ed irripetibile mentre Omar si è dilettato nel realizzarci un book fotografico (senza che gli fosse stato richiesto, ma per suo unico piacere XD ).

Io, Mat e Omar
Tramonto nel deserto

In tale occasione ci è stato possibile percepire un’escursione termica tra il versante della sabbia esposta al sole e quello rivolto all’ombra: davvero impressionante.
È stato altrettanto impressionante ritornare a dorso di Aūra e O’n Yel quando l’ombra stava, oramai, guadagnando spazio fino a raggiungere l’orizzonte delle dune e contrastare il cielo.

L’ombra

Nei dintorni di Tazzarine, altro villaggio piccolo, ma piacevole, accogliente e circondato da catene montuose mozzafiato, abbiamo potuto osservare delle incisioni rupestri risalenti al 5000 a.C. ad Ait Ouazzik, quando ancora quella zona era una savana. Gazzelle, scimmie, giraffe, elefanti…fionde per cacciare, reti e trappole…erano queste le raffigurazioni che ricorrono su quei sassi scalfiti dalla silice ad opera di ominidi preistorici.

Grazie ai consigli della nostra guida abbiamo trovato la cooperativa agricola Aitmatne dove collaborano 15 persone che coltivano e lavorano l’henna e altre piante della tradizione berbera e araba e qui abbiamo bottinato un poco ;P

Alla cooperativa agricola Aitmatan in compagnia dei simpatici omini che vi lavorano

Qui abbiamo conosciuto un gruppo di ragazzi i quali si sono subito fidati di noi ed hanno confessato di esser felici di aver trovato degli amici. Persone semplici come noi che si divertivano con poco: a quanto pare non serve troppo per essere sereni 🙂
Uno di loro raccontava di come al tempo del colonialismo Portoghese e Francese quelle zone fossero povere e la gente non lavorasse per denaro, ma per cibo.
“Aprite le porte e fermate il vostro verbo”
Era questo il motto dei coloni in questi villaggi: lascio a voi ogni deduzione.
Vi incoraggio anche a pensare a cosa volesse significare non poter utilizzare la propria lingua per un popolo dove la conoscenza era, per lo più, tramandata oralmente…
Vittima di prepotenza da parte prima dei Romani, poi degli arabi, poi degli europei, il popolo berbero, ad oggi, trova difficoltà nel ricordare ciò che lo guidava, un tempo, attraverso il deserto e sulle montagne, alla ricerca di ciò che gli poteva garantire la vita. Ma non si abbatte, l’uomo libero mai si abbatte, e mantiene, con determinazione, il suo cammino perpetuo, i suoi valori, la sua capacità di leggere i segnali che gli arrivano dal cielo, dalla terra, da tutto ciò che li circonda, dalla Natura…definendoli come buoni o cattivi presagi…

Tutto questo si ripete, ancora una volta si ripete… Il nostro è un globo con diverse chiazze di colore. Ciascheduna chiazza è stata percorsa da esseri, i quali, su per giù, hanno dimostrato molti comportamenti in comune… Cosa vorrà mai dire tutto ciò?

Scorgere “ruderi” in questi luoghi è stato più frequente di quanto non lo possa essere in Europa: le case vengono costruite, il tempo scorre e si manifesta sulla loro forma…quando un’epoca è passata le case vengono abbandonate all’erosione dei fenomeni atmosferici e si vedono muri di un impasto terroso colati senza più un tetto che li protegga.
Tutto questo, circondato talvolta dalla vegetazione o dalla sabbia e dalle rocce, crea un effetto affascinante e di armonia.

Ciabattino di N’kob
Io che cammino nel palmeto

Anche la visita a N’Kob si è rivelata decisamente piacevole: primo palmeto che ci ha riparati dal sole durante l’ora di pranzo i 45 ksour in mattoni crudi della quasba ancora intatti e un ciabattino dannatamente bravo che produce calzature comode, seguendo i modelli tradizionali, riutilizzando materiali, ad esempio i copertoni delle ruote delle auto come suola.

Le quasbas

Conoscere queste “genti” è difficile, quasi impossibile, tanto quanto può parere assurdo, alle orecchie di un europeo, ricevere differenti versioni della storia da parte di diverse famiglie.

Sul cammino tra Agdz e Tazenakht abbiamo “soccorso” un ragazzo, Omar, che aveva l’auto in panne poiché gli mancava gasolio. Donatogliene un po’ voleva ringraziarci e, nonostante abbiamo tentato di fargli capire che per noi era sufficiente la sua riconoscenza, lui ha insistito perché andassimo dalla sua famiglia per darci un dono o per mangiare con loro. Dunque abbiamo accettato. Una famiglia abbastanza numerosa e subito molto accogliente: il thè alla menta è stato d’obbligo. Durante il sorseggiare i racconti galoppavano.
In ogni caso i marocchini sono proprio buffi: alla fine ci siamo ritrovati con il padre di Omar, (intermediario tra le tribù berbere di pastori delle montagne e le donne operose del villaggio, nonché commerciante di tappeti), il quale avrebbe voluto che noi gli acquistassimo un tappeto XD
Come bel finale la cena in compagnia di tutta la grande famiglia è stata squisita, con pane appena fatto nel loro forno a forma di scodella e tajine con verdure provenienti dal loro orticello.

Sfiancati dopo aver ballato la Trance-music nell’hammada XD

E le ruote del carro girano, girano… Merzouga, Tazzarine, N’Kob, Agdz, Taroudant… Ognuna di loro con una sua bellezza, con i suoi ricordi, il suo colore, il suo orizzonte…ed, ovviamente, i suoi abitanti… Siamo a più di metà del nostro viaggio e ci sembra sia passato così in fretta…
Da qui in avanti sarà la costa oceanica ad ospitarci e questa notte la trascorreremo in una valle il cui nome è tutto un programma: Vallée du Paradise.

Grotta nella Vallée du Paradis, Agadir

Buona notte!

Ed il carro porta a spasso in Nord Africa

È il volto di una bambina che ci attraversa la strada puntando la mano per indicarci di fermare la vettura proteggendo sua madre.
È la gioia di un momento di sole splendente in cui troviamo una fonte d’acqua pura sull’altopiano innevato e realizziamo di poterci fare una doccia dopo più di una settimana di privazione.
È, ancora, lo sguardo generoso di un’infante che ci porge una busta per raccogliere il pane appena acquistato…
È la terra rossa che si alterna agli ulivi su pendii poco frequentati.
È lo sguardo di un ragazzo che si leva la “maschera” di rivenditore e mi sorride quando anche io, guardandolo bene negli occhi, gli rivelo ciò che penso.
È l’aria fresca della montagna che ti risveglia i sensi dopo giorni di stordimento cittadino.
È il richiamo alla preghiera che ci sorprende cinque volte al giorno e ci ricorda di rendere grazie.
Sono le gole in un deserto roccioso che attraversiamo prudentemente, fiduciosi che un antico ponte in legno possa sorreggerci.
È guidare su una strada che si perde all’orizzonte e si fonde con il cielo.
È l’osservare villaggi di fango, sassi ed erba secca ed i loro abitanti che resistono al freddo ed al caldo.
Sono le parole di chi incontriamo, in lande desolate, che ha voglia di conoscerci.
È il mistero che avvolge una terra e la cultura degli abitanti che la abitano.

È forse tutto questo ciò che andiamo cercando?

È tutto questo, e molto altro, che scandisce le nostre giornate da una decina di giorni oramai: siamo in viaggio, ancora una volta, ma in modo diverso.
Questa volta è il mitico Furg-one a portarci a spasso e le nostre mete spaziano tra i confini di una terra magnifica, accattivante e un po’ curiosa: il Marocco.

Catenaccio nella Medersa Bou Inania, Fez

Dopo un percorso in traghetto di due giorni dall’Italia, in compagnia di famiglie dirette al loro Paese d’ origine, siamo sbarcati lo scorso 20-01-2020 a Tangeri Med grande porto dirimpetto a Gibilterra.
Ed è qui che parte il cronometro che misura la nostra permanenza in Marocco: le quattro ruote ci hanno già portato a visitare Totouane, Chefchaouen, Moulay Hydris, Mekness e Fez. Queste città, tra grandi e piccine che siano, ci hanno introdotto a quella che è la vita nella Medina (=la città vecchia dei Paesi di origine araba): vicoli stretti e case drammaticamente contigue che lasciano spazio, lungo le vie più dirette, a botteghe di articoli di artigianato (quali tappeti, tuniche, ciabatte, borse e quant’altro), prodotti per il benessere (come oli pregiati di Argan, saponi, profumi, kajal, henna e molto di più) e, per fortuna, anche cibo e spezie. Il tutto condito con una colonna sonora di musica tradizionale, piuttosto che di letture coraniche per i più appassionati, e ristoranti a tutto spiano che emanano aromi dall’effetto aperitivo. In questi luoghi ci è più volte capitato di attendere che il bottegaio tornasse dalla preghiera alla moschea.

 Mat a Chefhaouen

A chi pensa che il Marocco sia sole, mare e caldo dico che abbiamo già attraversato e dormito circondati dalla neve su monti alti intorno ai 2000 m slm e guidando continuiamo a fare su e giù dai pendii scorgendo attorno catene montuose innevate che si aggirano sui 4000 m slm.

Lago ghiacciato attraversando l’Atlante innevato

Infatti il Marocco è un Paese densamente concentrato di catene montuose tra cui quelle che abbiamo attraversato: il Rif a Nord e l’Atlante che lo taglia tutto al centro. Siamo fortunati, infatti, di non capitare in un periodo di bufere, durante il quale avrebbero necessariamente dovuto chiudere le strade per permettere agli spazzaneve di pulire e, trattandosi delle uniche vie di comunicazione tra grossi centri, alle ambulanze di poter circolare senza lunghe code di gente locale in cerca di “pupazzi di neve”.

Io e Mat ad Aoulì: caldo bestia di giorno, freddo peso di notte

…Scimmia? Chi ha mai visto una scimmia in montagna con la neve?
Alziamo la mano!
Ebbene sì! In Marocco è ancora possibile vedere sull’Atlante esemplari di macachi berberi, anche detti bertucce. Comitive di persone si accostano lungo la strada per osservarli facendoli avvicinare con del cibo (azione che mira poco a salvaguardare la loro sicurezza, rendendoli più facilmente preda di bracconieri).

Non solo questo: anche il deserto riesce a toccare il Marocco! L’altro ieri abbiamo guidato attraversando le gole di un deserto roccioso (hammada) alla ricerca di un villaggio abbandonato chiamato Aoulì, nella provincia di Midelt.

Deserto roccioso nei dintorni di Midelt

Uno scenario mozzafiato che ci ha condotto, oltrepassando miniere di piombo ormai in disuso dal 1975, a incontrare Abdu e la sua famiglia che ci hanno offerto un thè nella loro casa chiacchierando del più e del meno. Questo ragazzo 22enne conosce inglese, francese e sta imparando il tedesco, tutto questo studiando su alcuni libretti che ha in casa. Abdu ci è venuto incontro appena giunti al villaggio spinto da una grande voglia di parlare e fare pratica.

Aoulì

Durante la nostra uscita abbiamo incontrato il maestro della piccola scuola del villaggio che insegna ai bambini delle famiglie rimaste. Egli ci ha spiegato che la quasba di quel villaggio era stata abitata da coloro che lavorarono alla miniera delle gole di Aoulì la quale era stata fondata dai francesi nel lontano 1925 quando questi vi avevano trovato giacimenti di piombo. Poi, una volta esaurita questa risorsa nel 1975, queste miniere erano state chiuse. Ad ora vi è una miniera in un villaggio vicino dove viene estratto il vanadio.

Se mi avessero detto che quella zona potesse essere ricca dal punto di vista minerario, a giudicare dalla modestia delle abitazioni e di chi le vive, non vi avrei probabilmente creduto. Tuttavia, per gli appassionati di minerali, lo è.

Valle del Ziz

È passata poco più di una settimana e la nostra voglia di scendere a Sud ci ha mossi dal mare, ad alcune tra le città imperiali, ai monti innevati, al deserto roccioso, alla Valle di Ziz per addentrarci in altre due quasba abbandonate e oramai consumate dagli agenti atmosferici e dal tempo. Una di queste si trova ad Ifri, l’altra a Meski, non troppo lontana dalle sorgenti del fiume Ziz.

La quasba di Ifrì, Valle del Ziz

Entrare nello spazio delimitato da quelle mura di terra impastata con paglia e sassi e vedere le stanze e come tutto fosse costruito in miniatura, a causa delle esigenze del tempo, ci ha permesso di immaginare come quelle persone potessero vivere. Un uomo che gestisce una locanda a Ifri ci ha raccontato che in tempo di guerra la gente si era rifugiata all’interno di questa quasba fin tanto che, quando il conflitto era cessato, la quasba era stata abbandonata permettendo agli abitanti di vivere in case più ampie.

In visita alla qasba di Ifrì

Roteano roteano le ruote del carro…

Quasba abbandonata di Meski

… Ed oggi… beh oggi siamo alle porte del deserto…Merzouga ci aspetta!

E da qui in poi, per chi vuole, sarà un piacere potervi raccontare…

Io e Mat alle sorgenti di Meski

M’a ssalama!
Arrivederci!
E a risentirci!