È il volto di una bambina che ci attraversa la strada puntando la mano per indicarci di fermare la vettura proteggendo sua madre.
È la gioia di un momento di sole splendente in cui troviamo una fonte d’acqua pura sull’altopiano innevato e realizziamo di poterci fare una doccia dopo più di una settimana di privazione.
È, ancora, lo sguardo generoso di un’infante che ci porge una busta per raccogliere il pane appena acquistato…
È la terra rossa che si alterna agli ulivi su pendii poco frequentati.
È lo sguardo di un ragazzo che si leva la “maschera” di rivenditore e mi sorride quando anche io, guardandolo bene negli occhi, gli rivelo ciò che penso.
È l’aria fresca della montagna che ti risveglia i sensi dopo giorni di stordimento cittadino.
È il richiamo alla preghiera che ci sorprende cinque volte al giorno e ci ricorda di rendere grazie.
Sono le gole in un deserto roccioso che attraversiamo prudentemente, fiduciosi che un antico ponte in legno possa sorreggerci.
È guidare su una strada che si perde all’orizzonte e si fonde con il cielo.
È l’osservare villaggi di fango, sassi ed erba secca ed i loro abitanti che resistono al freddo ed al caldo.
Sono le parole di chi incontriamo, in lande desolate, che ha voglia di conoscerci.
È il mistero che avvolge una terra e la cultura degli abitanti che la abitano.

È forse tutto questo ciò che andiamo cercando?

È tutto questo, e molto altro, che scandisce le nostre giornate da una decina di giorni oramai: siamo in viaggio, ancora una volta, ma in modo diverso.
Questa volta è il mitico Furg-one a portarci a spasso e le nostre mete spaziano tra i confini di una terra magnifica, accattivante e un po’ curiosa: il Marocco.

Catenaccio nella Medersa Bou Inania, Fez

Dopo un percorso in traghetto di due giorni dall’Italia, in compagnia di famiglie dirette al loro Paese d’ origine, siamo sbarcati lo scorso 20-01-2020 a Tangeri Med grande porto dirimpetto a Gibilterra.
Ed è qui che parte il cronometro che misura la nostra permanenza in Marocco: le quattro ruote ci hanno già portato a visitare Totouane, Chefchaouen, Moulay Hydris, Mekness e Fez. Queste città, tra grandi e piccine che siano, ci hanno introdotto a quella che è la vita nella Medina (=la città vecchia dei Paesi di origine araba): vicoli stretti e case drammaticamente contigue che lasciano spazio, lungo le vie più dirette, a botteghe di articoli di artigianato (quali tappeti, tuniche, ciabatte, borse e quant’altro), prodotti per il benessere (come oli pregiati di Argan, saponi, profumi, kajal, henna e molto di più) e, per fortuna, anche cibo e spezie. Il tutto condito con una colonna sonora di musica tradizionale, piuttosto che di letture coraniche per i più appassionati, e ristoranti a tutto spiano che emanano aromi dall’effetto aperitivo. In questi luoghi ci è più volte capitato di attendere che il bottegaio tornasse dalla preghiera alla moschea.

 Mat a Chefhaouen

A chi pensa che il Marocco sia sole, mare e caldo dico che abbiamo già attraversato e dormito circondati dalla neve su monti alti intorno ai 2000 m slm e guidando continuiamo a fare su e giù dai pendii scorgendo attorno catene montuose innevate che si aggirano sui 4000 m slm.

Lago ghiacciato attraversando l’Atlante innevato

Infatti il Marocco è un Paese densamente concentrato di catene montuose tra cui quelle che abbiamo attraversato: il Rif a Nord e l’Atlante che lo taglia tutto al centro. Siamo fortunati, infatti, di non capitare in un periodo di bufere, durante il quale avrebbero necessariamente dovuto chiudere le strade per permettere agli spazzaneve di pulire e, trattandosi delle uniche vie di comunicazione tra grossi centri, alle ambulanze di poter circolare senza lunghe code di gente locale in cerca di “pupazzi di neve”.

Io e Mat ad Aoulì: caldo bestia di giorno, freddo peso di notte

…Scimmia? Chi ha mai visto una scimmia in montagna con la neve?
Alziamo la mano!
Ebbene sì! In Marocco è ancora possibile vedere sull’Atlante esemplari di macachi berberi, anche detti bertucce. Comitive di persone si accostano lungo la strada per osservarli facendoli avvicinare con del cibo (azione che mira poco a salvaguardare la loro sicurezza, rendendoli più facilmente preda di bracconieri).

Non solo questo: anche il deserto riesce a toccare il Marocco! L’altro ieri abbiamo guidato attraversando le gole di un deserto roccioso (hammada) alla ricerca di un villaggio abbandonato chiamato Aoulì, nella provincia di Midelt.

Deserto roccioso nei dintorni di Midelt

Uno scenario mozzafiato che ci ha condotto, oltrepassando miniere di piombo ormai in disuso dal 1975, a incontrare Abdu e la sua famiglia che ci hanno offerto un thè nella loro casa chiacchierando del più e del meno. Questo ragazzo 22enne conosce inglese, francese e sta imparando il tedesco, tutto questo studiando su alcuni libretti che ha in casa. Abdu ci è venuto incontro appena giunti al villaggio spinto da una grande voglia di parlare e fare pratica.

Aoulì

Durante la nostra uscita abbiamo incontrato il maestro della piccola scuola del villaggio che insegna ai bambini delle famiglie rimaste. Egli ci ha spiegato che la quasba di quel villaggio era stata abitata da coloro che lavorarono alla miniera delle gole di Aoulì la quale era stata fondata dai francesi nel lontano 1925 quando questi vi avevano trovato giacimenti di piombo. Poi, una volta esaurita questa risorsa nel 1975, queste miniere erano state chiuse. Ad ora vi è una miniera in un villaggio vicino dove viene estratto il vanadio.

Se mi avessero detto che quella zona potesse essere ricca dal punto di vista minerario, a giudicare dalla modestia delle abitazioni e di chi le vive, non vi avrei probabilmente creduto. Tuttavia, per gli appassionati di minerali, lo è.

Valle del Ziz

È passata poco più di una settimana e la nostra voglia di scendere a Sud ci ha mossi dal mare, ad alcune tra le città imperiali, ai monti innevati, al deserto roccioso, alla Valle di Ziz per addentrarci in altre due quasba abbandonate e oramai consumate dagli agenti atmosferici e dal tempo. Una di queste si trova ad Ifri, l’altra a Meski, non troppo lontana dalle sorgenti del fiume Ziz.

La quasba di Ifrì, Valle del Ziz

Entrare nello spazio delimitato da quelle mura di terra impastata con paglia e sassi e vedere le stanze e come tutto fosse costruito in miniatura, a causa delle esigenze del tempo, ci ha permesso di immaginare come quelle persone potessero vivere. Un uomo che gestisce una locanda a Ifri ci ha raccontato che in tempo di guerra la gente si era rifugiata all’interno di questa quasba fin tanto che, quando il conflitto era cessato, la quasba era stata abbandonata permettendo agli abitanti di vivere in case più ampie.

In visita alla qasba di Ifrì

Roteano roteano le ruote del carro…

Quasba abbandonata di Meski

… Ed oggi… beh oggi siamo alle porte del deserto…Merzouga ci aspetta!

E da qui in poi, per chi vuole, sarà un piacere potervi raccontare…

Io e Mat alle sorgenti di Meski

M’a ssalama!
Arrivederci!
E a risentirci!